Dimissioni del lavoratore: in quali casi spetta la NASpI

Il lavoratore che decide di dimettersi dal posto di lavoro subordinato non ha generalmente diritto alla NASpI, parallelamente il datore di lavoro che recepisce un atto dimissionario da parte del proprio dipendente non è obbligato a versare il contributo di licenziamento. Tuttavia, il nostro ordinamento giuridico non esclude il diritto alla NASpI nelle ipotesi in cui le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore, in quanto derivanti da condotte o fattori esterni quali ad esempio il mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali nei luoghi di lavoro, modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative, mobbing e trasferimento del lavoratore.

Dimissioni per giusta causa

Le dimissioni per giusta causa derivano da situazioni rispetto alle quali non è possibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Deve trattarsi, quindi, di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, in primis l’elemento della fiducia, che deve effettivamente sussistere fra le parti.
In questo caso, l’atto di dimissioni, ancorché proveniente dal lavoratore, deriva da una condotta datoriale non corretta e lo stato di disoccupazione non può essere qualificato come atto volontario.

Per questa ragione il lavoratore ha comunque diritto al trattamento di NASpI in tutti i casi rispetto ai quali la giurisprudenza ha stigmatizzato il ricorrere delle condizioni suesposte, tra cui ad esempio:
– mancato o tardivo e reiterato pagamento della retribuzione;
– molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
– modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
– mobbing;
– notevoli e ingiustificate variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda;
– trasferimento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”;
– comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente.

Procedura per le dimissioni

Il lavoratore che si dimette per giusta causa deve indicare nel modello telematico di dimissioni la sussistenza della “giusta causa” e altrettanto è tenuto a fare il datore di lavoro nella comunicazione di cessazione (Unilav).
Tuttavia, ai fini del diritto alla NASpI, il dipendente dimissionario deve manifestare la sua volontà di difendersi in giudizio, allegando alla domanda di Naspi una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da cui risulti la volontà di difendersi in giudizio contro il comportamento illecito del datore, volontà che deve essere dimostrata allegando una serie di “atti idonei”: diffide, esposti, denunce, citazioni, sentenze, ricorsi d’urgenza contro il datore di lavoro.
Il lavoratore deve poi impegnarsi a comunicare l’esito della controversia, giudiziale o extragiudiziale.
Qualora la lite si concluda escludendo la sussistenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS provvede a recuperare quanto già erogato a titolo di NASpI o di indennità di disoccupazione.

Altri casi di spettanza della NASpI

La NASpI spetta in caso di recesso per:
– dimissioni presentate dalla lavoratrice madre nel periodo ricompreso tra l’inizio della gravidanza (che si presume decorra 300 giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato di gravidanza) e fino al compimento del primo anno di vita del figlio;
– dimissioni presentate dal lavoratore padre, durante il primo anno di vita del figlio, se è stato fruito il congedo di paternità obbligatorio;
– morte o grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

 

 

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